Ciriaco's blog
L’età del pessimismo
Ogni analisi storico-politica non può che essere limitata, parziale. Eppure, se condotta con onestà intellettuale, serve per dischiudere prospettive e aggiungere un pezzo di valore all’approfondimento. E di analisi serie e approfondimenti onesti mai come in questo periodo abbiamo bisogno. Leggo pertanto con interesse l’editoriale di Antonio Polito oggi sul Corriere della Sera, a titolo: “Il PD e l’età del pessimismo – il danno del vuoto che si apre”. Polito è al solito affilato e preciso, capace di andare oltre un ragionamento prettamente politico (che oggi sta purtroppo a significare tattica di potere e non visione/strategia di nazione). Da persona intelligente, Polito contestualizza quanto oggi sta avvenendo e arriva a sintetizzare che la nascita del PD, dieci anni fa circa, fu ‘una fusione fredda’, ‘un amalgama non riuscito’, ‘un’utopia’ (risultati ricorrenti nella storia della sinistra, peraltro), purtuttavia un frutto dell’ottimismo, della speranza di organizzare un progetto moderno di superamento di ideologie stantie. Mentre la crisi che si apre è conseguenza di una marcata ‘età del pessimismo, così cupa, incattivita, quasi disperata’, e perciò pericolosa, un vuoto che si spalanca. Non sono un politico e a me interessa una visione storica, sociologica e antropologica, innanzitutto. E l’angoscia di queste notti non è ascrivibile a un ribaltamento politico (ne abbiamo visti tanti, ci siamo abituati a faglie tettoniche che cozzano e si disgregano: cosa c’è in fondo di nuovo di un partito che smarrisce per strada la sua unità?), ma a un altro ben più devastante fenomeno. Il cancro che sta minando la nostra stessa sopravvivenza come nazione civile: la malattia estesa e capillare della corruzione, ormai pervasiva e invasiva come una metastasi (lo stesso direttore del Corriere pone gli italiani in testa alla classifica). Apro una parentesi e spero intanto che quest’articolo non sia tradotto in altre lingue, da amici e conoscenti esteri, perché devo qui confessare che ‘fare l’Italia e poi fare gli italiani’ sembra aver raggiunto il suo storico compimento. Gli italiani possono (finalmente?) esprimere tutta la loro mancanza di moralità, di senso civico, di etica, e possono liberarsi della sciocca ipocrisia, della leggenda che li vuole ‘brava gente’, per mostrarsi in tutta la loro possanza di approfittatori, di assaltatori della diligenza (che sia la regione, l’Italia, l’Europa), di divoratori del patrimonio comune, di distruttori famelici. Virus che ammazzano l’ospite. Ogni giorno c’è una rivelazione, in ogni articolo televisivo o di giornale si scoperchia una pietra (non è casuale l’accenno: le costruzioni sono state, dopo gli anni 70, il mezzo per ripagare e corrompere la politica italiana) e ci si accorge del verminaio che si agita sotto. Ogni mattina si scorre l’elenco degli indagati e dei condannati, delle piccole, delle grandi e grandissime truffe (queste ultime, quelle della finanza, ancora ammantate da un velo di mistero e di pudore – quando troppo è troppo!). Al fondo della lista, invece, le note spese gonfiate (l’ultima espressione dei ladri di polli, degli esclusi dai grandi giri della corruzione) sono ormai diventate una prassi, tant’è che un gruppo di consiglieri regionali sardi aveva pensato bene di istituzionalizzarle – dai, premiamo la loro ingenua trasparenza! Son brave personcine… Guardiamo alla situazione della Sicilia e non possiamo che inorridire. Eppure la situazione siciliana è chiara, un fenomeno alla portata di qualsiasi analisi, ma chi osa andare a fondo, chi ha il coraggio e il potere di farla cessare? Intere regioni sono preda della criminalità che si organizza (non da ieri, ma da decenni) per espandersi e acquisire status di legalità, complice appunto la politica, e come infine poter capire, selezionare, separare il grano dal loglio? Ieri si idolatrava l’icona dell’anticorruzione e oggi si scopre che il fratello prendeva una prebenda mensile da un losco faccendiere – non si arriverà mai alla fine?
Eppure tutto covava sotto la cenere, a ben vederlo. Tuttavia, per osservare certi fenomeni occorreva esserne distaccati, oppure aver interiorizzato una profondità storica, aver stratificato una raccolta sterminata di giudizi per lo più imparziali (o parziali, ma corroborati) che disegnano un quadro incontrovertibile. La nostra decadenza – morale, innanzitutto – è stata un tema portante degli illuministi, dei patrioti dell’ottocento e di tutti i viaggiatori europei. Pensiamo agli scrittori francesi e inglesi che sentivano quasi il dovere di visitare l’Italia – e che tornavano esterrefatti. Un grandioso scenario naturale e architettonico abitato da nani, da una pletora di servili e furbeschi personaggi. Rileggiamo Stendhal, per esempio, che eppure amava svisceratamente l’Italia e vi ambientava “La certosa di Parma”, e riflettiamo sui suoi giudizi impietosi (“Quale misero gregge si raduna in questo tempio augusto! Non sono persone come queste che hanno potuto edificare questa chiesa. Questa considerazione applicatela a tutto ciò che di sublime vedete in Italia, e in tutte le attività pubbliche. Un popolo di giganti e di eroi è morto ed è stato rimpiazzato da un popolo di pigmei. La grandezza si è rifugiata dentro gli appartamenti, dove l’occhio ammazzatutto del governo non può penetrare!”). La sua analisi del come il concetto di libertà venga inteso in Italia è stupefacente, valido perfettamente ancora oggi.
Ma arriviamo ai giorni nostri, ai giudizi che permeano non solo i saggi storici e politici, ma anche la letteratura più variegata. Norman Mailer, Harlot’s Ghost, per esempio:
“Our charter calls for economic warfare,” he said in a highly shaped whisper, “plus underground resistance groups.” Loudly: “You saw what we did in the Italian elections.”
“Yessir.” …
“If not for our little operation, the Communists would have taken over Italy,” he now stated. “They give the credit to the Marshall Plan but that’s wrong. We won in Italy in spite of the money that was thrown around.”
“We did?”
“Count on it. You have to take in account the Italian ego. They’re an odd people. Half sharp, half meatball.” … “You see, the Romans themselves are civilized. Minds quick as stilettos. But the Italian peasant remains as backward as a Filipino. In consequence, you mustn’t try to motivate their self-interest to crudely… The Italians are like that. If Communism ever takes over in Italy, those Red wops will drive the Soviets crazy as they’re driving us.” …
“Why not let the Italians choose their path?” …
“Of course, we can’t afford to let the Russian in. Who knows? Those guineas might get along with the Russian.”
Adesso che il sistema sta collassando, che i nodi dell’unità d’Italia (che ha solamente determinato la formazione di un sistema di adattamento al potente di turno) stanno venendo al pettine della storia, adesso ci accorgiamo che il nostro unico collante è la corruzione, una colla e allo stesso tempo una dinamite usando la quale noi guineas cerchiamo d’arraffare quanto più possibile, prima che la nave affondi.
Perché non ristudiare la storia e dirci, allora, che la nave non è in fondo la nostra nave? L’unità d’Italia è stata solo la risultante di un atto violento compiuto da una genia malefica e truffaldina, i Savoia, a spese di un popolo che non sapeva neanche cosa fosse questa immaginaria Italia – ne paghiamo i risultati. Solo adesso, con gli ultimi studi, si scopre che la lotta al brigantaggio, per esempio, è stata né più né meno una guerra civile (come asseriva d’altronde Garibaldi), un genocidio che ha portato al massacro di circa 500mila persone, scomparse, cancellate – mentre i sardi erano già stati cancellati prima, durante i duecento anni di crudele colonizzazione. E perché questo? Per il compimento di un destino storico (quale?) o per l’avidità di una dinastia in quasi fallimento, attratta dalle ricchezze che una leggenda voleva esistessero al Sud?
Non si può prescindere dalla storia. Caro Antonio Polito, non il PD ma l’Italia stessa è stata ‘una fusione fredda’, ‘un amalgama non riuscito’, ‘un’utopia’, dobbiamo avere il coraggio di dircelo. Altrimenti come possiamo giustificare ‘gli italiani’?
E’ inutile pensarlo, rivangare? Non credo proprio. Perché la domanda che si imporrà nel prossimo, vicinissimo futuro non riguarderà i partiti politici, reliquie del passato remoto, ma proprio l’Italia. Prendo a prestito alcune datate riflessioni di Ernesto Galli: “Serve ancora a qualcosa l’Italia? E a che cosa? Può ancora immaginare in quanto Nazione di avere una vocazione, un destino, suoi propri? E qual è il suo ruolo, se ce n’è uno, in relazione agli altri Paesi del mondo? … Noi italiani non siamo adatti allo stato nazionale. Non ci troviamo bene, non sappiamo prendere le misure di un’entità così vasta e generica. Lo stato nazionale ci è estraneo, non lo capiamo e non lo amiamo. E quando abbiamo immaginato di volerlo e di amarlo, avevamo in testa qualcosa di diverso: un’immaginazione, un’idea, una fissazione nata da qualche umiliazione subita, o infine un desiderio sbagliato di essere come gli altri.”
Per forza, dico, rileggendo la storia, noi non lo amiamo, questo stato. Non è nostro, l’hanno imposto con la forza e con la violenza – e continuano a imporcelo.
Raccogliamo pertanto di tutto, come all’uscita di una grossa centrifuga storica: malcontento e frustrazione, miseria e corruzione, e infine ‘un’età del pessimismo, così cupa, incattivita, quasi disperata, e perciò pericolosa, un vuoto che si spalanca’.
Abbandoniamo questa politica, questa leggenda falsa di ‘un bisogno italiano’, un fake, e torniamo a immaginare ed elaborare una diversa idea della nostra terra, corrispondente ai bisogni effettivi della nostra popolazione e basata sui reali asset esistenti, sulle nostre competenze distintive. Lo spirito, il patrimonio artistico, paesaggistico ed enogastronomico e la cultura – la cultura, non le costruzioni – devono essere il nostro futuro. E’ l’unica carta che ci rimane, ma il tempo sembra esaurirsi tra balli e danze, come al solito, a livello nazionale e locale, un crudele disfacimento.
Come non essere preoccupati, angosciati, quando le uniche voci che ancora si odono sono di questi politici opportunisti e ciechi?
Ciriaco Offeddu
ciriacoffeddu.com
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