Ciriaco's blog
Nel Guscio, di Ian McEwan
Leggo un altro libro di Ian McEwan, dopo il deludentissimo Chesil Beach (si veda la mia recensione del 18 luglio 2015 su Beyond Thirty-Nine https://beyondthirtynine.com/on-chesil-beach-by-ian-mcewan/.
Glielo devo, penso, perché con Atonement (Espiazione) McEwan mi aveva colpito e commosso, e la curiosità per l’ultima opera prevale. Così compro Nel Guscio, pubblicato da Einaudi con copertina rigida, 160 pagine di sconcerto e infine anche un filo di rabbia: buttare 18 Euro di questi tempi non ti lascia tranquillo con la coscienza. Peggio per me, avrei dovuto diffidare delle recensioni del New York Times: “Uno straordinario gioco di prestigio, un pezzo di bravura che, ai doni narrativi di precisione, autorevolezza e controllo, aggiunge il diletto assoluto delle acrobazie di cui sono capaci le parole” e del Washington Post: “Risuona in queste frasi l’autentica nota aurea del genio”. In realtà, il libro è uno scadente giallo familiare basato su un triangolo imperfetto, la moglie Trudy, il marito John, poeta inconcludente, e il fratello del marito, Claude, rozzo ma vera macchina del sesso, diventato amante in pianta stabile di Trudy. I due fornicatori (li chiamo così perché non mi sembra proprio che ci sia amore tra loro) intendono uccidere John. Il movente, lo sviluppo e la conclusione del giallo sono banali, elementari. Quello che dovrebbe ravvivare il tutto è appunto lo straordinario gioco di prestigio di McEwan, in altre parole la scelta (il trucco letterario) di affidare la voce narrante al bambino che deve nascere di là a pochi giorni – Trudy è, infatti, incinta e il padre del nascituro si suppone sia John, il poeta.
Dunque eccomi qui, a testa in giù in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio mi sto per cacciare.
Evidentemente l’inizio è interessante, originale. Tuttavia – era facile prevederlo – non si può basare tutto un libro su un device (dispositivo) soprattutto quando questo trucco mostra falle continue di ragionevolezza e cadute di attendibilità. Si dirà che trattasi di fiction, e che dunque l’autore è libero di inventare quel che vuole. Ma una delle regole sacre della fiction, sintetizzata da Chris Carter, è che “la differenza tra la fiction e la vita reale è che la fiction deve aver senso” (mentre la realtà, tante volte, sembra perdere qualsiasi senso e ragione). Se la fiction, che è un grande lavoro d’immaginazione, d’invenzione, una “bugia” costruita con tutti i crismi che si usano per strutturare appunto una bugia credibile, documentata, di spessore, se la fiction – dicevo – non è sostenibile, non ha un senso compiuto, il lettore rimane interdetto, sconcertato e persino offeso.
Ritornando a Nel Guscio, dunque, delle due l’una: o il nascituro a testa in giù è il nostro ‘narratore onnisciente’, oppure tutto il suo processo deduttivo deve essere spiegato con estrema precisione, con una coerenza scientifica. Nel primo caso il lettore sarebbe chiamato a una specie di atto di fede, una volta per tutte, prendere o lasciare: il punto di prospettiva sarebbe posto nella pancia di Trudy, senza spiegazioni. Nel secondo caso non sono invece ammesse imprecisioni: il nascituro non è onnisciente e quindi può discettare solo di quanto i suoi sensi possono veicolare in placenta.
McEwan sceglie invece una via intermedia e il racconto è confuso e a tratti diventa superficiale. Che poi lui, da buono scrittore, possa fare giochi di prestigio e acrobazie con le parole, questo per me peggiora le cose: la letteratura non ha niente a che vedere con questi equilibrismi usati per salvare capra e cavoli.
McEwan si pone subito il problema, è chiaro, e infatti chiede:
Com’è possibile che io, seppur giovane, neppure nato ieri, sappia già quanto basta per sbagliarmi su tante cose? Beh, ho le mie fonti, io ascolto. Mia madre Trudy, quando non sta insieme al suo amico Claude, ama la radio e predilige i dibattiti sulla musica. Chi mai, agli albori della rete, avrebbe potuto presagire l’inarrestabile rinascita della radio, o il recuperato impiego di un termine arcaico come “wireless”?
Credo che già da questa excusatio non petita e dal modo di divagare si comprenda la confusione con cui McEwan procede.
Mando in avanscoperta i miei agili pensieri, partendo dalla biblioteca. Polvere di intonaco, miasma di morte, ma tutto relativamente in ordine. Al piano di sopra, in bagno e camera da letto, regna un caos di natura intima, il letto da solo e’ un viluppo di lussuria e insonnia, il pavimento ingombro di abiti di Trudy sparsi, o ammucchiati; lo stesso vale per il bagno: contenitori aperti, unguenti e biancheria sporca. Mi chiedo cosa racconti il disordine a uno sguardo sospettoso.
La stessa lunghezza del libro è una via di mezzo tra un racconto lungo, che forse meglio avrebbe potuto reggere il trucco letterario che lo caratterizza, e un vero romanzo. Il tutto corre invece verso un finale scontatissimo e un’ultima frase criptica, di solo effetto senza sostanza.
Mi domando allora se fosse Atonement (Espiazione) l’anomalia, l’unico libro valido tra tanti tentativi non riusciti.
Ma non intendo più continuare l’indagine con McEwan, mi spiace per Einaudi, è un bluff.
Ciriaco Offeddu
ciriacoffeddu.com
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