Ciriaco's blog
Su “Scelte industriali del passato – Ottana e la crisi di rigetto” di Paolo Fadda
L’articolo di Paolo Fadda è uscito su L’Unione Sarda del 29 luglio 2018, come risposta al mio “Bastava scegliere d’amare l’isola – Ottana e altri disastri” del 25 Luglio scorso, riportato in fondo. Ringrazio Paolo Fadda dell’attenzione e, aggiungo, dell’ingenuità del suo scritto, ancora in pretto stile democristiano-di-una-volta, da vecchio notabile che legge e riflette e che subito si pone sullo scanno e pontifica alle masse difendendo l’indifendibile.
Andiamo, ma non erano finiti quei tempi tristi e vittoriani, senza interlocutori? Purtroppo Paolo Fadda non ha neanche il tratto e la sottile cultura gesuitica – la sua scuola è il sindacato anni ’70 – per cui si espone senza rete, senza misericordia, c’è da averne umana simpatia, la stessa che esprimo nel cordiale invito finale.
Intanto lui solo conosce la storia sarda.
Mi dispiace deluderlo: ho studiato tutto quanto c’era da leggere sulla Sardegna (e sul secondo dopo-guerra non c’è un granché di valido se si cerca qualcosa al di fuori della cronaca) e umilmente penso di poter sostenere un contradditorio con uno storico, come lui si definisce. Se Paolo Fadda avesse viaggiato oltre i confini di qualche aula comunale, consiliare e delle varie commissioni nelle quali ha fatto brillante carriera (sì, lo so, è una frase logora, un cliché), saprebbe che generalmente gli emigrati amano disperatamente la propria terra e si tengono informati di quanto succede, e del perché succede, in maniera quasi morbosa. Pochi conoscono la Sardegna e le vicende sarde quanto gli emigrati sardi, credetemi.
In ogni caso, sino al 1968 sono stato in Sardegna, in Barbagia, a Nuoro, e quindi non è proprio lui, un giovane della periferia di Cagliari in cerca di diploma magistrale, che può insegnarmi cos’era allora la mia terra, la mia gente, il malessere, e cosa è successo prima e poi specificatamente nel triennio che cita come ragione di tutto quanto combinato maldestramente a Ottana e non solo.
Prima di parlarne, sì che bisognerebbe conoscere la storia, non la vulgatio di regime.
Il successivo tentativo di far passare me per idealista (!) mi ha indotto in confusione, devo confessare, per circa tre minuti. E’ in quel momento che ho pensato ai gesuiti, salvo ricredermi subito a fronte delle contraddizioni con cui Paolo Fadda infioretta il suo ragionamento.
Dunque sarei io l’idealista che vagheggia un fertile e ridente giardino d’Esperia. E il mio ragionamento non è niente altro che la metafora di quel che si sostiene oggi nell’isola, d’aver inseguito, erroneamente impossibili sogni di industrializzazione forzata, mandando a monte quel che invece era da ritenersi la vera ricchezza dell’isola, la feracità della sua terra. Dimenticando, peraltro, dentro quante emergenze, e di tutt’altra specie, ci si fosse trovati.
E’ utile fare un’analisi puntuale del paragrafetto.
Fertile – lo riconfermo. Vedo una Sardegna fertile, e ancora di più lo era negli anni ‘60.
Ridente – lo riconfermo. La mia Sardegna, ripulita dai parassiti, è ridente.
Metafora – avrei da ridire sull’uso del termine. Secondo la Treccani, la metafora è un processo linguistico espressivo, e figura della retorica tradizionale, basato su una similitudine sottintesa, ossia su un rapporto analogico, per cui un vocabolo o una locuzione sono usati per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente esprimono.
Erroneamente – lo riconfermo e lo grido: erroneamente e criminalmente (è la storia che insegna oppure gli utopisti/idealisti come Paolo Fadda che pontificano nonostante le evidenze?).
Impossibili sogni di industrializzazione forzata – lo riconfermo. E che altro sono stati? (Ripeto: è la storia che insegna oppure gli utopisti/idealisti frustrati, smentiti dai fatti?)
Feracità – è una ripetizione, vuol dire fecondità, fertilità, ma lo riconfermo. Aggiungerei bellezza unica, ricchezza unica archeologica, mare secondo a nessun mare nel mondo, patrimonio di varietà di piante e animali unico al mondo, storia, civilta’, eccetera, aggiungete voi. Io vedo la Sardegna come il posto più bello e interessante al mondo, meravigliosa eppure criminalmente svilita dagli incapaci e dai corrotti – e non è una metafora.
Dicevo dell’idealismo e delle contraddizioni di Paolo Fadda. Leggasi la chiusa, impagabile: Forse bisognerebbe ricordare le parole del sen. Medici, esimio docente di economia agraria, che si augurava che con le fabbriche nella valle del Tirso si sarebbero potute infrangere le tante chiusure di una società rurale, rimasta assurdamente autarchica. Auspicava infatti la nascita di un’industrializzazione legata strettamente alle risorse locali e alla meccanica, aperta ai mercati. Perché in quei 300 ettari d’industrie avrebbero potuto trovare occupazione 5 mila tecnici e operai e non, come in passato, solo una trentina di pastori.
Occorre prendere fiato e contare sino a dieci, perché c’è un limite alle cose che si possono scrivere impunemente, anche da idealisti imbevuti di ideologia.
Così, questo sen. Medici, esimio docente di economia agraria, invece di occuparsi di agraria, come avrebbe dovuto, d’un tratto si scopre esperto d’industrializzazione della Barbagia e auspica un’industrializzazione legata strettamente alle risorse locali e alla meccanica, aperta ai mercati. Ma che cos’è, lo scherzo di un alcolizzato (non era Saragat che si dilettava di vino rosso ed era chiamato “Una vite per il socialismo”)?
Di quali risorse locali e di quale meccanica stiamo parlando? Aperta ai mercati?
Ancor peggio: l’esimio docente (ma io non credo che abbia detto lui tali castronerie, oppure si?) ritiene che in quei 300 ettari d’industrie avrebbero potuto trovare occupazione 5 mila tecnici e operai!
Devo calmarmi. Stiamo parlando della Barbagia, di una cultura e di un’economia agro-pastorale che, ben guidata e con gli adeguati e mirati investimenti, avrebbe potuto far sorgere piccole aziende di 20/30 persone, forse; più probabilmente e auspicabilmente una rete di micro-imprese da far diventare innovative nel tempo. Apro un inciso: quante aziende locali che consegnano più di 20 buste paga sono oggi, nel 2018, presenti in provincia di Nuoro?
Si sa, s’immagina cosa richieda un insediamento industriale di 5 mila persone in termini di infrastrutture, indotto, tecnostruttura, formazione e scuole, pratica industriale, commerciale, eccetera? Ma perché, prima di esprimersi, non si studia approfonditamente strategia dei paesi, strategia competitiva, strategia finanziaria, pianificazione e controllo, gestione aziendale, economia, eccetera, e non si leggono almeno i testi di base, Michael Porter che scrive divinamente, per esempio, per iniziare a misurare la propria ignoranza in merito?
Chi avrebbe dovuto pianificare e poi gestire e sviluppare questo insediamento monstre, uno dei tanti mediocri figuri prestato alla o dalla politica, un fedale, un cognato oppure un figlio? O – com’è avvenuto – era implicito il dover delegare tutto a una banda di voraci “prenditori” con l’accordo di un ‘ritorno’ versato sottobanco alla politica?
Andiamo, un po’ di serietà, sono passati i decenni, non si può portare il cervello all’ammasso ancora oggi, se pur di stampo democristiano!
Ti boccerà la vita, ci dicevano al liceo. Questa classe di politici è stata bocciata drammaticamente dalla storia (e i morti non si contano, tra tumori e suicidi, depressi e disoccupati), ma ancora pretende di insegnarci come e cosa fare, e pretende di giustificarsi citando i deliri di un esimio senatore che auspicava la nascita di un’industrializzazione legata strettamente alle risorse locali e alla meccanica, aperta ai mercati. Perché in quei 300 ettari d’industrie avrebbero potuto trovare occupazione 5 mila tecnici e operai e non, come in passato, solo una trentina di pastori!
Passiamo adesso alla sostanza del discorso di Paolo Fadda, indicativo di un modo di vedere le cose che mi auguravo fosse scomparso – non è così.
Secondo le sue parole, il fenomeno che affrontavamo allora non era il risultato di una colonizzazione selvaggia e stupida di oltre duecento anni, di una spogliazione capillare della Sardegna, della cancellazione scientifica della lingua e di un’intera civiltà, di un malessere sociale ed esistenziale diffuso e profondo che aveva trovato risposta solo in metodi ancora una volta colonialisti, di marginalizzazione, e repressioni poliziesche, ma semplicemente una “insicurezza sociale nelle campagne barbaricine”.
Detto da uno ‘storico’ mi sembra una bestemmia.
Una popolazione sarda felice e spensierata, dunque, coinvolta nel bellissimo ed efficacissimo piano di Rinascita della Sardegna (su cui si dovrebbe aprire un’altra coraggiosa discussione sugli sprechi, la corruzione e i risultati – avverto: ho letto tutti i libri e i report) e dall’altra parte, in Barbagia, un pugno di criminali che portava insicurezza sociale nelle campagne. Sembra di leggere le cronache dell’Unità di quegli anni (per la cronaca: gli archivi sono stati messi online), che auspicavano una repressione di tipo militare contro i barbaricini dal cervello delinquenziale (Niceforo purtroppo non era stato dimenticato – e ancora fa proseliti nel 2018). Abbiamo saltato a piè pari le inchieste di Cagnetta, dimenticato Pratobello, libri, film e centinaia di dibattiti che hanno cercato di separare la delinquenza comune e poi organizzata dall’esistenza di un mondo sfruttato, spiumato, tenuto nell’ingiustizia.
Ci vuole delicatezza, sensibilità e approfondimento per approcciare questo mondo e comprenderlo, e non si può invocare Saragat quale testimone probante per merito di un suo viaggio a Nuoro, nel 1967, effettuato per testimoniare la presenza poliziesca dello Stato. Come non si può dire che “proprio nella piana di Ottana non era stato possibile attuare alcun insediamento colonizzatore, (c’è scritto proprio così, controllate per favore) per via di un susseguirsi di atti malavitosi”. L’intento era quello di modificare radicalmente la cultura civile. Si rimane senza parole: siamo pietosamente ancora nell’800!
Insediamenti colonizzatori per modificare radicalmente la cultura civile! E Paolo Fadda ha il coraggio di scrivere queste cose?
(E mi gira che sempre da Cagliari arrivino questi pseudo professori a dare a noi barbaricini queste splendide lezioni di vita – ovviamente sempre e comunque cancellando la nostra cultura).
Ma insomma, grazie all’autorevole impegno di Saragat (riporto sempre la sintesi felice di Paolo Fadda), infine qualcosa si muove e dopo due anni, nel 1969, viene costituita la ‘Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna’, presieduta dal senatore Medici. L’uscita dall’arretratezza delle condizioni agropastorali, genesi degli atti criminosi, sarebbe stata indicata dalla Commissione nella creazione di ‘grandi impianti industriali nelle zone interne con la localizzazione nella piana di Ottana di rilevanti industrie manifatturiere’.
Ora, nel 2018, con la maturità storica, sociale e antropologica nel frattempo maturata, come una persona possa ancora pensare che la genesi degli atti criminosi sia l’arretratezza delle condizioni agro-pastorali mi fa rabbrividire nel profondo.
Questo è puro classismo ed elitarismo di bassa cucina (Superciuk, nel fumetto di Alan Ford, non lo esprimeva meglio), che fa il paio col razzismo gia’ espresso e ribadito nel seguito verso il mondo pastorale, colpevole di una “costante resistenziale” mostrata verso la brillante idea di industrializzare (e non con industrie manifatturiere ma addirittura chimiche e petrolchimiche) la piana del Tirso!
Perché, udite, udite, i risultati di questo crimine storico non sono arrivati non per colpa della follia del progetto stesso, dell’incompetenza politica e dirigenziale, della corruzione a trecentosessanta gradi, dell’inquinamento selvaggio senza controllo, dell’ignoranza totale della possibile ricettività dei mercati, eccetera, ma da una crisi di rigetto dovuta soprattutto alla costante resistenziale degli ex pastori (ma non erano una trentina? Capaci di boicottare, trenta-pastori-trenta, un progetto storico auspicato da Saragat, Medici, l’Italia tutta, la luna rossa e quant’altri, e costato centinaia se non migliaia di miliardi di vecchie lire).
Caro Paolo Fadda, ti do del tu per cinque secondi per dirti affettuosamente, in sardo perché forse lo interiorizzi meglio: birgonzati!
Faccio un commento finale. Quel che si sostiene oggi nell’isola fortunatamente è ben diverso da quanto nostalgicamente e ingenuamente pensato e scritto da Paolo Fadda, memore evidentemente di una stagione per lui personalmente brillante alla faccia di quanto veniva compiuto contro la Sardegna e i sardi.
La perdita di contatto con la realtà è lampante – e preoccupante.
Abbiamo consegnato la Sardegna in mano a una classe politico-dirigenziale che ragionava e ragiona in questi termini, una classe elitaria, classista e razzista, che idolatra ancora figure come Saragat e Medici, che riporta le loro frasi allucinanti, che ha ancora un concetto della Barbagia Niceforo-like, che non ha mai voluto comprendere, sull’altare delle ideologie e/o del tornaconto personale, qual è stata la storia sarda e che cosa è stato fatto alla Sardegna – non solo nel passato, ma anche negli ultimi decenni.
Consiglierei a questi alienati una passeggiata a Ottana, con visita guidata nel sottosuolo.
Ciriaco Offeddu
PS: la criminalità in Sardegna, che divenne organizzata soprattutto per colpa dei politici, non fu debellata dalla decantata ‘Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna’ né dalla fallimentare industria a Ottana, ma da nuove metodologie d’indagine e soprattutto dalla tecnologia. Anche questa è storia.
Il mio articolo su L’Unione Sarda del 25 Aprile: “Bastava scegliere di amare l’Isola – Ottana e altri disastri”
Ai primi di Settembre, una qualificata delegazione di Singapore verrà in Sardegna per approfondire il tema della longevità e il suo legame col cibo. In Ottobre restituiremo la visita e terremo a Singapore lezioni di cucina sarda e un’importante conferenza sul patrimonio genetico sardo.
I contatti sono iniziati qualche anno fa: sono stato presentato dal professor Ray Pine, rettore della Faculty of Management and Hospitality, Technological & Higher Education Institute of Hong Kong, e ho fatto una lunga visita nella miglior scuola di cucina di Singapore, una realtà che è come un sogno che si avvera.
Certo, Singapore non cessa mai di stupire, ma ammetto che la scuola mi ha rapito perché ha toccato corde profonde, perché vi ho visto la Sardegna che vorremmo fiorisse, i professori riconosciuti, la gioventù sorridente, seria e determinata cui trasmettere i nostri talenti e consegnare le nostre tradizioni, la formazione (una delle possibili branche) declinata con professionalità e rigore, ma anche con eleganza, gusto e, ovviamente, mezzi adeguati. Cucine meravigliose e fornitissime, celle frigorifere dedicate alle varie tipologie di cibo e bevande, spazi di degustazione e aule di formazione, sale riunioni e per conferenze, laboratori e biblioteca. Condite il tutto con la luce equatoriale, le piante e i fiori che ti entrano nell’anima e ti fanno diventare migliore, la pulizia e il rispetto massimi, la volontà di eccellenza in ogni cosa che si compie: voilà, Singapore.
La splendida notizia di questo scambio, su cui ho molto lavorato, mi è giunta peraltro in un momento di sconforto. Leggevo dei guasti tragici di Ottana, di cui tutti colpevolmente sapevano, ma ciò che mi ha messo in ginocchio è il commento di un caro amico, Gesuino: “Pensa che cosa si sarebbe potuto fare di quella valle solcata dal Tirso!”
Ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovato a Iscra, da ragazzo, in una bellissima giornata di Febbraio. Ho in mente tutto, i colori e i profumi, gli animali e gli uccelli e poi la pesca: il ricordo mi ha sconvolto. Dio mio, abbiamo buttato la vita per fare scempi, abbiamo distrutto un paradiso per alimentare un branco di corrotti quando avevamo già tutto in mano, tutto quanto occorreva non per una ma per dieci generazioni. Bastava scegliere la Sardegna: l’agricoltura, la pastorizia e l’allevamento, l’archeologia e il turismo; bastava scegliere il nostro DNA e fare le cose bene, senza cedere ai ricatti degli ‘investitori’, dei politici di bassa cultura, mezza tacca e grande appetito, dei sindacalisti interessati, di quanti si sono lasciati trascinare in un gorgo immorale senza fine, che ancora oggi fa brutte morti.
Pensate che cosa si sarebbe potuto fare della Sardegna! Solo un milione e mezzo di persone, pari a un limitato quartiere di una grande città, con le nostre ricchezze, con la possibilità di sviluppare la ricerca sulla longevità, il cibo e la salute, di unire settori contigui (la pastorizia, l’agricoltura, l’artigianato, la farmacologia, le biotecnologie…), di sviluppare distretti ognuno con le sue peculiarità, di mantenere infine qui i nostri giovani, sereni, realizzati.
Quante scuole di alto livello avremmo potuto fare invece dei camini di Ottana? E perché i nostri nipoti, mi chiedo, devono frequentare edifici smandrappati e mal serviti dove le attrezzature scarseggiano, i professori sono demotivati, i collegamenti inesistenti e le opportunità di sbocco pari a zero? Devo andare a Singapore per vedere una scuola che si rispetti?
Abbiamo colpevolizzato il turismo (quando potevamo gestirlo e dominarlo) e la pastorizia (il pastore puzzava di contiguità); abbiamo svilito l’archeologia seguendo una narrazione superficiale e falsa; non abbiamo investito nella cultura, nella formazione e nell’agricoltura e ancora oggi leggo “il lavoro nei campi non si può delocalizzare, si delocalizza la manodopera” perché manca del tutto il concetto di sviluppo tecnologico, di confronto. Nell’agricoltura il mondo investe e realizza, basta andare in Israele a vedere, negli Usa, a Singapore stessa ad ammirare le ‘fattorie verticali’: non c’è bisogno di schiavi, ma di tecnici, di ricercatori, di scienziati…
Sardegna, ti prego, svegliati, siamo ancora in tempo per scacciare i mercanti dal tempio e far le cose giuste!
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